mercoledì 27 marzo 2013

MORIRE A 14 ANNI SENZA UN PERCHE'. ANNALISA DURANTE CHE NON RIUSCIVA A FARE A MENO DELLA PIZZA FRITTA

Era il 27 marzo del 2004, un sabato sera, quando una pallottola vagante uccise Annalisa Durante  nei vicoli dell'antica Vicaria, a Forcella  in uno scontro a fuoco tra camorristi. Aveva solo 14 anni. Un mese dopo la sua uccisione ci fu una grande manifestazione che attrversò tutti quei vicoli. C'ero anch'io e raccontai quei momenti con  questo articolo.

"Un giorno diverrò grande. Eppure non riesco a immaginarmi. Forse me ne andrò, forse no. Mi mancherebbero le gite, la pizza che porta papà dopo il lavoro. Adoro la pizza fritta"
(dal Diario di Annalisa)
NAPOLI – Gli occhi di Giovanni Durante, luccicano d’emozione. Non si aspettava che tanta gente venisse a ricordare, dopo un mese, la morte di sua figlia. “Giannino”, come lo ha chiamato confidenzialmente Loigino Giuliano, l’ex boss del rione, è il padre di Annalisa, la ragazza  14enne uccisa la notte del 28 marzo scorso durante una sparatoria a via Vicaria Vecchia, nel quartiere di Forcella. Un mese dopo il quartiere si stringe attorno a lui per una fiaccolata nata da un appello della società civile napoletana. La  gente del rione ha risposto numerosa all’appello lanciato da tante associazioni di volontariato e da personalità della società civile impegnate sul fronte della cultura della legalità e della pace (Alex Zanotelli, Luigi Ciotti, Rita Borsellino, Tonino Palmese, Pasquale Salvio, Gianluca Stendardo, Alfredo Mendia, Sergio D'Angelo, Renato Briganti, Emilio Lupo, Aldo Policastro) e dal comitato “Noi per Forcella”. La protesta è contro la ferocia di una criminalità che non si ferma di fronte  a niente e a nessuno.  Sono arrivati in tanti, da Posillipo a  Capodimonte, dal Vomero a Chiaia, da Secondigliano a Ponticelli, dalla Sanità a Fuorigrotta, per rompere il muro della paura. Al fianco di “Giannino” camminano il sindaco di Napoli, Rosa Russo Iervolino, l’onorevole Alfonso Pecoraro Scanio e padre Alex Zanotelli, dietro uno striscione con la scritta «da Forcella una speranza per tutta la città». Dietro ancora, seguono più di un migliaio di persone. Tanta anche la gente del rione che si accalca dietro le prime file, nonostante poco abituata a frequentare marce e soprattutto a protestare contro la camorra. E’ quella stessa gente che ogni giorno sbarca il lunario con espedienti sempre diversi e che si barcamena tra legalità e illegalità. Che è passata da un’economia illegale, come quella del contrabbando di sigarette, ad un’altra, altrettanto illegale, del pizzo e della droga, sotto “padroni diversi”. Ieri il clan dei Giuliano, oggi quello dei Mozzarella. Ai balconi dei vicoli sono appesi tanti lenzuoli bianchi, in segno di adesione all’iniziativa. Il corteo, che si riunisce a piazza Calenda, vicino allo storico teatro Trianon, tocca il cuore del rione: Via Forcella, Vico Zite, sotto le finestre di Loigino Giuliano, quello che una volte era “ ‘o rre” di Forcella. Tanti restano affacciati dai balconi. In strada la gente del rione fa ala alla fiaccolata che avanza tra saracinesche che vengono abbassate. Nella manifestazione sono tanti i giovani che portano le bandiere per la pace. Si passa in via Duomo, via Vicaria Vecchia, dove venne uccisa Annalisa. Qui suo padre non può fare a meno di piangere.
Mancava il parroco di Forcella, don Luigi Merola

Delusi tutti quelli che si aspettavano in prima fila anche Don Luigi Merola, il trentunenne  parroco di Forcella. L'invito al silenzio del cardinale di Napoli, Michele Giordano, evidentemente aveva centrato l’obiettivo di “calmare” il giovane sacerdote che un mese prima, invece, durante i funerali di Annalisa, aveva incitato i napoletani a ribellarsi alla camorra. “Faccia il prete non il poliziotto”, aveva ammonito il cardinale di Napoli. “Don Luigi non può fare il mestiere degli altri. E’ un ragazzo buono, che ha entusiasmo e  passione, mi lega a lui un rapporto filiale, ho il dovere di guidare i giovani sacerdoti. Ma don Luigi darà un contributo contro l’illegalità, solo nella misura in cui saprà educare i giovani, con un lavoro oscuro, di conversione. Un lavoro che non va sui giornali, è chiaro. Perché il bene non fa rumore. E il rumore non fa bene”.  Un invito che don Luigi, evidentemente, non ha potuto rifiutare, perché, come lui fa sapere: “chi fa  il prete, ha liberamente scelto di fare voto di “povertà, castità e obbedienza”. Il cardinale dice che vuole proteggerlo. Forse è anche così, ma sicuramente Giordano non ama “i preti anticamorra” e ce l’ha soprattutto con i giornali: “Giocano a creare il mito dei preti di frontiera, e non si accorgono di esporre a rischi enormi sacerdoti come don Luigi”. Il Cardinale Giordano, curiosamente, dopo aver chiamato alla mobilitazione gli uomini di Chiesa contro le discariche, ora invoca il silenzio contro la camorra. La Chiesa sembra di aver paura dei suoi esempi più meravigliosi. E tra Fra’ Cristofaro e don Abbondio è sempre pronta a capire le ragioni di quest’ultimo.

 

Le minacce a Don Luigi Merola ora sotto scorta

 

Don Luigi Merola ora è sotto scorta. L’8 aprile scorso il giovane parroco è stato minacciato di morte da due giovani armati, sotto casa sua, a Materdei. Il secondo episodio in pochi giorni, tanto che la Questura napoletana gli assegnerà la protezione di due  poliziotti della squadra dei “Falchi”. Ma ancora il 18 aprile sera, dopo la messa, all’ingresso della parrocchia di San Giorgio ai Mannesi a Forcella, due uomini si avvicinano a don Luigi: “Non abbiate timore, vi accompagnamo noi a casa  che stasera non avete la scorta.” Poco dopo alcuni parrocchiani, visto lo sgomento di don Luigi, che rimane interdetto di fronte a quegli interlocutori che non conosce e che non promettono nulla di buono, si fanno avanti: “Don Luigi state tranquillo, veniamo anche noi,  vi portiamo a casa tutti quanti”. Qualche giorno dopo , il 25 aprile,  viene rafforzata la scorta per don Luigi Merola: un’auto dei carabinieri e tre unità della polizia che lo proteggerà giorno e notte.  Il cardinale Giordano dice di voler difendere don Luigi Merola dalla sua stessa inesperienza, ma alla lunga la sua posizione si mostrerà solo come un tentativo maldestro di  proteggere “la sua Chiesa”, quella che  guarda al mondo esterno “dalla finestra di una grande palazzo”, per usare le parole del francescano Leonard Boff. Don Luigi Merola non è un eroe, e sicuramente non ne ha nessuna voglia di diventarlo. Come non  erano eroi  né don Pugliesi, né don Diana. Anch’essi, nonostante siano stati ammazzati, non avevano nessuna volontà di lasciare anzitempo questo mondo. Avevano scelto di  parlare alle coscienze della loro gente con la forza della parola del Vangelo.  Non sono stati uccisi perché parlavano troppo, ma perché altri stavano zitti. Si sono ritrovati soli, circondati da un silenzio assordante. Così come si sono ritrovati soli Falcone e Borsellino e tanti altri magistrati; così come si era ritrovato solo l’imprenditore Libero Grassi; così come si era ritrovato solo il giornalista Giancarlo Siani. E’ l’isolamento che ti costringe a diventare eroe e poi ti fa morire. Se ci fossero anche altri a denunciare, ad urlare, a fare, a costruire coscienze, nessuno lo diventerebbe, perché tutto rientrerebbe nella normalità di un comportamento quotidiano.  L’esperienza delle associazioni antiracket che Tano Grasso  fa nascere in giro per l’Italia, risponde a questi criteri. E il cardinale Giordano, uomo di grande esperienza, avrebbe  invece fatto bene a consigliare gli altri preti a lanciare lo stesso  messaggio di don Luigi Merola, a parlare allo stesso modo, a chiedere ai cittadini di ribellarsi alla camorra, perché con i seminatori di morte, con quelli che esercitano la sopraffazione e la violenza come comportamento quotidiano, non ci si può convivere.

 

Don Luigi Ciotti: “Il coraggio della denuncia è annunzio di salvezza”.

 

Ma se c'è una chiesa che sceglie il silenzio, c'è un'altra Chiesa che parla, alza la voce e invita a ribellarsi. Padre Alex Zanotelli e don Luigi Ciotti, sono ancora loro, in prima fila, ad alzare la voce, ad assumere il ruolo di quella chiesa profetica che sa costruire le coscienze. Prima dell’inizio della fiaccolata, dopo le canzoni della cantautrice per la pace, Agnese Ginocchio,  è padre Alex Zanotelli che invita a lottare contro “le camorre del mondo”. Alla fine della manifestazione toccherà a don Luigi Ciotti, in arrivo da Roma dalla manifestazione per la liberazione degli ostaggi italiani in Iraq, a scaldare i cuori della gente infreddolita sotto la pioggia. “La libertà di tutti si gioca sul terreno dei diritti sociali. Non potremo liberare gli ostaggi in Iraq se non liberiamo l’Italia dalla mafia e dalla camorra. Questo ci chiede Annalisa. Il coraggio della denuncia è annuncio di salvezza: che i camorristi sappiano tutto questo”. Parole che lasciano intravedere anche una polemica a distanza col cardinale di Napoli che chiede il silenzio ai suoi preti. Ma la parola ha la sua forza, come ben sapeva anche don Giuseppe Diana, un altro prete che ha pagato con la vita la scelta di non tacere. Don diana affermava:  “La Chiesa ha tra le mani uno strumento che Dio le ha consegnato: il Vangelo. E' proprio in nome di questo "lieto annuncio", questa parola di Dio - spada a doppio taglio - che noi dobbiamo "fendere" la gente per  metterla in crisi.”
 

L’appello di “Loigino” Giuliano l’ex padrino di Forcella
Nei giorni immediatamente dopo la morte di Annalisa Durante, arriva, non richiesto, l’appello dell’ex boss del rione Forcella, Loigino Giuliano, che da due anni ha deciso di collaborare la giustizia. «Non fate in modo di essere ancora schiavizzati, vi invito ad andare avanti sino in fondo per battervi contro chi semina paura. Denunziate a voce alta chi vi fa ancora del male. Che fosse un Giuliano, un Misso o un Mazzarella, chiunque è responsabile della morte di quell’angelo di nome Annalisa». Quattro pagine scritte a stampatello e consegnate ai giudici della settima sezione del Tribunale, dove affiora la commozione e lo sdegno per l’uccisione di Annalisa. Loigino chiede alla gente di Forcella di denunciare i responsabili della morte della ragazza, pur sapendo che è coinvolto un suo nipote in questa vicenda, Salvatore, detto "ò montone", accusato di aver essersi fatto scudo col corpo della ragazza per salvarsi da una spedizione di morte di alcuni sicari arrivati a bordo di un motorino. Una “spedizione punitiva” del quartiere aveva tentato di farsi giustizia  immediatamente, picchiando la mamma di Salvatore Giuliano e inondando la sua casa di acqua, non prima di averla distrutta a colpi di bastone. «Vi esorto a dirlo - scrive Giuliano - senza coprire nessuno. Se davvero volete bene a quel fiore spezzato dalla brutalità di chi ha sparato e che ha spento per sempre quel sorriso, andate avanti e assieme alle istituzioni fate in modo da difendere don Luigi Merola, parroco del vostro quartiere, sostenendolo con tutte le vostre forze. Nessuno può mandare via don Luigi Merola dalla casa di Dio». Poi si rivolge al papà di Annalisa: «A te, caro Giannino, esprimo solidarietà dal più profondo del cuore, non arrenderti mai, anche se fosse un tuo fratello non permettere che a Forcella entri più anche un solo camorrista». Quindi l’appello ai «figli di Forcella e di Napoli: «Annalisa dal cielo vi sarà vicino e vi darà una mano in questa vostra lotta. Il nuovo Luigi Giuliano vorrebbe starvi accanto e in prima linea a battermi assieme a voi per il trionfo della giustizia e la legalità: cosa che mi è impossibile, ma il mio cuore è con voi».

 

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