mercoledì 24 luglio 2013

ALBERTO VARONE UCCISO A SESSA AURUNCA IL 24 LUGLIO 1991. A LUI E' INTITOLATO IL PRESIDIO DI LIBERA DELLA CITTA'

Il giardino della Memoria a Sessa Aurunca
Il brano è tratto dal mio libro "La bestia" editore Melampo


C’era un forte odore di finocchio selvatico quella notte. Ai bordi della strada statale ce n’era tantissimo. Erano in piena fioritura e le infiorescenze gialle non avevano ancora i frutti maturi. Un’auto, un’Opel K adett, era ferma con la parte anteriore sul lato sinistro della mezzeria della Statale Appia, in direzione di Capua, al chilometro 183+000, in località “Acqua Galena”, nel territorio del comune di Francolise, tra Teano e Sessa Aurunca. La sua corsa era finita proprio sopra un bel mucchio di finocchi selvatici. Ne crescono tanti da queste parti da maggio ad agosto. L’auto aveva la terza marcia inserita e il quadro acceso. Il freno a mano non era tirato. All’esterno, all’altezza della maniglia dello sportello di guida, un foro d’arma da fuoco e poi ancora altri fori nel poggiatesta e nel vano motore. All’interno il conducente era  ferito mortalmente. L’Opel Kadett la trovarono così alle 4,30 del mattino del  24 luglio 1991 i carabinieri della stazione di Sant’Andrea del Pizzone. Furono avvertiti da una telefonata anonima che segnalava la macchina crivellata di colpi. Il sangue schizzato dappertutto e un uomo accasciato sullo sterzo. Un corpo quasi privo di vita.  Era Alberto Varone, 49 anni, un piccolo imprenditore di Sessa Aurunca. Aveva un negozio di mobili e distribuiva giornali alle edicole dei comuni intorno a Sessa Aurunca, la sua città. Era molto conosciuto nella zona. A quell’ora era uscito proprio per andare a prendere i quotidiani al deposito di San Nicola La Strada, una cittadina alle porte di Caserta. Cinquanta chilometri  per andare e cinquanta per tornare, ogni santo giorno. Non esistevano festività, se non quelle legate al riposo dei giornalisti. Ossia la vigilia di Natale e Natale, Pasqua, il primo maggio e il 15 agosto. Partiva più o meno dal centro cittadino di Sessa Aurunca attorno alle 4,00, da un pendìo di tufo vulcanico a Sud-Ovest del vulcano spento di Roccamonfina, e faceva sempre la stessa strada: Verso Carinola, prendendo la statale appia, lambendo Francolise, Sparanise, Capua, Casagiove e prima di Caserta, arrivava a San Nicola La Strada. Paesi distanti tra loro, inframmezzati dalla campagna estesa per centinaia e centinaia di ettari  e per decine di chilometri. La vegetazione tipica delle colline, a volte rigogliosa e umida, a volte secca, su cui arriva la brezza del vicino mare della riviera domizia. Le canne, i fichi d’india, i pini. Man mano che si sale più in alto, l’ambiente cambia aspetto: i pioppi, gli ulivi, i castagni. La stessa vegetazione che migliaia di anni fa si trovarono a contrastare gli Aurunci, antico popolo di queste  terre, per trovare luoghi abitabili a ridosso del fiume Garigliano. Qui in epoca preromana costruirono le  mura ciclopiche, che racchiudevano l’originario nucleo abitato di Sessa Aurunca dove si coniava moneta prima della conquista della città da parte dei Romani nel IV secolo avanti Cristo. Un territorio incontaminato se non fosse per la centrale nucleare, ora chiusa, sorta in un'ansa del Garigliano, agli inizi degli anno ’60. La centrale venne fermata  nel 1978 per un guasto tecnico a un generatore di vapore secondario, ma i danni all’ambiente sono stati evidenti negli anni.

La strada, Alberto Varone, la conosceva a menadito. Oramai di quei chilometri, che percorreva ogni mattina, col vento, con la pioggia, con la neve o col sole,  si può dire che ricordasse tutto: il guardrail rotto, la buca quasi mai riparata appena usciva dal centro abitato, la pianta di fico a pochi chilometri da Francolise, le aziende agricole prima di arrivare a Capua. Tutti elementi di riferimento che legava all’orario. Ogni mattina ad un’ora precisa  doveva trovarsi ad un certo punto della strada. Era tutto cronometrato. Il tempo era tiranno, perché alcune edicole aprivano alle 7,00 e per quell’ora doveva essere già di ritorno coi giornali da consegnare. Un lavoro fatto di tempestività, meticolosità, professionalità. Ad ogni edicola il suo pacco. In ogni pacco c’erano i quotidiani, i settimanali, i rotocalchi mensili. Un lavoro che Alberto Varone svolgeva da anni e senza mai avere grandi problemi. Cento  chilometri alle prime luci dell’alba si fanno in fretta, se non fosse che ogni tanto, nel tratto da Sessa Aurunca a Francolise, ci sono una serie di curve e tornanti che impediscono una guida molto veloce. Soprattutto se davanti si mette un camion di quelli che portano la merce che di mattina deve arrivare sul litorale domizio o nelle città del basso Lazio, Minturno, Scauri, Formia, Gaeta, subito dopo il fiume Garigliano. Sessa Aurunca è in una posizione strategica. E’ collocata al confine Nord-Ovest della Campania e della Provincia di Caserta. E’ divisa dalla Provincia di Latina proprio dal fiume Garigliano. Lo sapevano bene i Romani che nel 313 dopo Cristo, una volta sconfitti gli Aurunci, fecero di Sessa Aurunca una loro colonia. E per la sua posizione strategica tra la Via Appia e la Via Latina diventò un centro di produzione.

 
Il presidio di Libera "A. Varone" a Maiano di Sessa Aurunca
Gli assassini lo aspettavano già da qualche ora. Per loro quella notte era passata insonne. Sapevano che sarebbe passato di lì, a bordo della sua autovettura furgonata. Sapevano che il suo era un percorso obbligato. Lo avevano seguito e avevano verificato l’ora e il punto giusto dove tendergli l’agguato. Potevano anche decidere di ucciderlo quando sarebbe andato a consegnare i giornali in una delle 26 frazioni  del territorio di Sessa Aurunca. Un territorio grande ed esteso per 163 chilometri quadrati. In pratica il primo Comune della provincia di Caserta per estensione territoriale. Ma avrebbero dovuto organizzare l’agguato non più nel cuore della notte. E questo sarebbe stato più pericoloso. Potevano esserci testimoni ingombranti. Decisero allora di eliminarlo a notte fonda. Lo avrebbero fatto a pochi chilometri fuori da Sessa Aurunca. Lo avrebbero ucciso e lasciato li. Nella macchina che lo stava attendendo c’erano almeno due persone: uno che doveva  materialmente sparare. Sicuramente un esperto di armi per colpire l’obiettivo in movimento, e l’autista. C’erano anche altri complici per l’appoggio logistico. Dovevano far sparire le armi e bruciare l’auto impiegata per l’omicidio.

Quando i carabinieri di Sant’Andrea del Pizzone trovarono l’auto con il corpo di Alberto Varone, si resero subito conto che era in fin di vita. Fu una corsa disperata verso l’Ospedale civile di Capua, il “Palasciano”. Ma quel nosocomio non era attrezzato per salvare la vita di Alberto. Alle 12,40, fu trasferito all’ospedale “Nuovo Pellegrini” di Napoli. Ma, ugualmente, non ci fu niente da fare. Nel primo pomeriggio, alle 16.35, Alberto Varone lasciava questo mondo. La missione di morte dei suoi assassini era compiuta. Dei suoi killer nessuna traccia.

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